Studio Shock di Yale: Possibili Effetti Cronici del Vaccino sul Sistema Immunitario
Una ricerca della Yale University rivela che alcuni individui sviluppano sintomi persistenti dopo la vaccinazione, sollevando interrogativi sulle possibili conseguenze a lungo termine per il sistema immunitario.
Lo studio della Yale University analizza le conseguenze a lungo termine della vaccinazione contro il COVID-19 e le sue possibili correlazioni con problemi cronici del sistema immunitario. Pubblicato recentemente, questo studio ha identificato marcatori immunologici che potrebbero spiegare perché alcune persone hanno sviluppato sintomi debilitanti dopo la vaccinazione.
Cosa ha scoperto lo studio?
I ricercatori di Yale hanno osservato un numero significativo di pazienti che, dopo aver ricevuto il vaccino, hanno riportato sintomi persistenti come:
- Affaticamento cronico e perdita di energia.
- Confusione mentale (Brain Fog), difficoltà di concentrazione e memoria.
- Indebolimento del sistema immunitario, con una maggiore vulnerabilità a infezioni e malattie.
- Problemi cardiovascolari e infiammazioni sistemiche.
Secondo lo studio, questi sintomi non sarebbero semplicemente effetti collaterali temporanei, ma potrebbero essere segnali di un’alterazione più profonda del sistema immunitario. Alcuni ricercatori hanno notato somiglianze tra questi effetti e alcune caratteristiche dell’HIV/AIDS, ipotizzando che il vaccino possa aver causato in alcuni individui una condizione simile a una sindrome da immunodeficienza acquisita.
Paralleli con l’HIV/AIDS e implicazioni future
L’aspetto più inquietante della ricerca è la possibilità che alcuni individui possano aver sviluppato una condizione di immunodeficienza progressiva, che potrebbe manifestarsi solo dopo anni dalla vaccinazione. Questo solleva una questione fondamentale: se i sintomi sono simili a quelli dell’HIV/AIDS, potremmo trovarci di fronte a un effetto ritardato che si evidenzierà solo tra 5 o 10 anni?
Alcuni scienziati ipotizzano che la somministrazione ripetuta di vaccini a mRNA possa alterare la risposta immunitaria dell’organismo, rendendolo più vulnerabile a infezioni future. Questo è un argomento estremamente controverso, perché significherebbe che le conseguenze della vaccinazione potrebbero non essere immediatamente visibili, ma emergere nel lungo periodo.
Quali sono le implicazioni?
Se le ipotesi dello studio di Yale fossero confermate, questo aprirebbe un nuovo e drammatico dibattito sulla sicurezza dei vaccini e sulle reali conseguenze dell’Operazione Warp Speed, finanziata da Trump per accelerare la produzione dei vaccini a RNA. Inoltre, se questi problemi dovessero diventare più evidenti tra il 2025 e il 2030, la comunità scientifica e politica potrebbe essere costretta ad affrontare una crisi sanitaria ancora più ampia, con implicazioni sia sanitarie che legali. Per ora, la ricerca è ancora in corso, ma il solo fatto che una università prestigiosa come Yale stia indagando su questi effetti è un segnale che la questione non può essere ignorata.
L'AIDS è causato dall'HIV (Human Immunodeficiency Virus), un virus che attacca il sistema immunitario e lo rende progressivamente incapace di difendersi dalle infezioni e dalle malattie.
Il riferimento alla SIDA nello studio della Yale University è legato al fatto che alcune persone vaccinate hanno riportato sintomi di affaticamento cronico, confusione mentale e indebolimento del sistema immunitario, elementi che ricordano, in parte, le manifestazioni dell’HIV/AIDS. Questo ha sollevato preoccupazioni sul possibile impatto a lungo termine delle biotecnologie sanitarie e sulle loro implicazioni per la salute pubblica.
Lo studio della Yale University ha analizzato le conseguenze a lungo termine della vaccinazione contro il COVID-19, focalizzandosi su individui che hanno sviluppato sintomi persistenti dopo la somministrazione del vaccino. Questa condizione, denominata sindrome post-vaccinazione (PVS), include sintomi quali affaticamento cronico, nebbia mentale, insonnia e vertigini. I ricercatori hanno osservato che alcuni pazienti presentano livelli più elevati della proteina spike del SARS-CoV-2 nel plasma, suggerendo una possibile correlazione con i sintomi riscontrati. Lo studio, pubblicato il 19 febbraio 2025, rappresenta un passo preliminare verso la comprensione di PVS e sottolinea la necessità di ulteriori ricerche per sviluppare strategie diagnostiche e terapeutiche efficaci
https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2025.02.18.25322379v1
Commenti
Posta un commento