L’era del caos: PsyOps, élite globali e la missione divina di Trump

 


1. La premessa: un grande consenso tra élite

Lopez apre la sua aula esclusiva con una dichiarazione secca: nel mondo di oggi esiste un enorme consenso tra tutte le élite globali. Non è un complotto isolato, ma una rete estesa che comprende organizzazioni come la Trilateral Commission, il Council on Foreign Relations, il Banco Mondiale, il BIS, il G7, il G20, i BRICS, il World Economic Forum, il Bilderberg Group, il Bohemian Grove, il Pentagono, la CIA, l’MI6 e altre agenzie. Secondo Lopez, questi attori definiscono l’agenda globale in perfetto accordo con il sistema mediatico, che funziona come strumento di diffusione di propaganda.


2. Il “grande teatro” e la regia del caos

Lo scenario che descrive è quello di una grande messinscena: Lopez sostiene che le tensioni tra USA, Iran e Israele — i tre volti in copertina del suo video — non sono scontri caotici improvvisati, ma frutto di un piano congiunto. Apparentemente nemici, in realtà condividono l’interesse a mantenere acceso un conflitto che serve a scopi interni e strategici. Chi non comprende questa dinamica resta vittima di manipolazione.


3. Il richiamo alla “Era del Caos”



Riprende la famosa copertina dell’Economist con Trump e la scritta The Age of Chaos. Lopez evidenzia come il comportamento del “Presidente Donald” (Trump) sia coerente con questo caos: un giorno parla di pace, il giorno dopo ordina un attacco; un momento definisce l’Iran un nemico mortale, il momento successivo si propone come mediatore. Questo balletto di dichiarazioni contraddittorie alimenta la confusione: la “Era del Caos” non è uno slogan, ma una strategia per destabilizzare la percezione pubblica.


4. L’apparente rottura USA-Tel Aviv

Il discorso si concentra sulla strana frattura tra USA e Tel Aviv. Trump dichiara di aver “distrutto completamente” l’infrastruttura nucleare iraniana grazie a ordigni bunker buster, ma i servizi di intelligence israeliani rilasciano informazioni contrarie: l’Iran, dicono, ha ancora capacità di arricchimento dell’uranio. Questo scarto alimenta la narrazione di un conflitto che non finisce mai, perché se ammetti che l’Iran non ha più bombe, non puoi giustificare altre operazioni militari.


5. Il ruolo di Pechino e la mossa iraniana

Lopez sottolinea un dettaglio inquietante: mentre Tel Aviv e Washington discutono pubblicamente, il capo della difesa iraniana è a Pechino a discutere con la leadership cinese. Nessuno sa cosa stiano preparando. La lettura di Lopez (ispirata alla lezione di Jang) è che Teheran voglia attirare gli USA in una guerra di terra. L’obiettivo? Umiliare la superpotenza in stile Vietnam e diventare simbolo della resistenza globale.


6. Operazioni Psicologiche: come funziona il “marketing di guerra”

A questo punto, Lopez inserisce una lezione teorica sulle operazioni psicologiche (PsyOps): mostra come la macchina di propaganda unisca Stato, forze di difesa e media per plasmare percezioni e comportamenti. Fa esempi storici — dal primo conflitto mondiale alla guerra in Iraq — e usa concetti di Gramsci (egemonia culturale) e della teoria della spirale del silenzio di Elisabeth Noelle-Neumann per spiegare come la pressione mediatica generi conformismo.


7. Il “rumore informativo” come arma

Questa confusione, dice Lopez, non è casuale. Il rilascio di notizie contraddittorie è parte di una strategia di gestione del caos. Più la gente è bombardata da versioni opposte, più perde la capacità di distinguere tra verità e menzogna. L’informazione diventa nebbia. Quando le emozioni prevalgono sulla razionalità, si apre la porta alla manipolazione.


8. Analisi di discorso: la chiave linguistica

Lopez fa poi un salto metodologico: spiega come la sua formazione nella analisi del discorso francese di base enunciativa (dominata da autori come Dominique Maingueneau) sia uno strumento potente per smontare questi messaggi. Prende come esempio il discorso del leader iraniano dopo i bombardamenti USA: con la cenografia e l’ethos, l’Iran si presenta come vittima pacifica di aggressioni ingiustificate, mentre dipinge gli USA come bugiardi aggressivi.


9. Il doppio gioco narrativo del leader iraniano

Attraverso questa lente linguistica, Lopez mostra come il leader iraniano costruisce una dicotomia morale: “Noi siamo pace e verità, loro sono guerra e menzogna”. È una strategia classica di legittimazione verso la propria popolazione e verso la comunità internazionale: all’interno, rafforza lo spirito di resistenza; all’esterno, proietta un’immagine di ragionevolezza.


10. Trump e il mito del leader messianico

Nella seconda parte, Lopez riprende la lezione del Prof. Jang su un concetto chiave: i tre leader coinvolti (Trump, il leader iraniano e Netanyahu) sono accomunati da un “chiamato messianico”. Tutti e tre credono — o si presentano — come strumenti di una missione divina. Questo senso di investitura conferisce loro una determinazione quasi inumana e una resilienza soprannaturale: Trump, ad esempio, a quasi 80 anni macina comizi e viaggi senza sosta.


11. Il pericolo di un “sacrificio necessario”

Ma questa dimensione messianica, avverte Lopez, rende questi leader disposti a correre rischi enormi, anche a “sacrificare” parte del proprio popolo se serve a realizzare un disegno storico. Ecco perché Jang paventa una falsa bandiera sul suolo americano o altrove, se Trump dovesse sottrarsi al conflitto. In un contesto di chiamata messianica, la persecuzione e il martirio alimentano la narrazione di essere “scelti” e danno senso alle sofferenze inflitte.


12. Chiusura: la minaccia si estende

Infine Lopez lancia l’allerta: ciò che potrebbe accadere negli USA, un’operazione di destabilizzazione, potrebbe riversarsi anche altrove, inclusi Paesi come il Brasile. Nessuno è davvero al sicuro. Il messaggio di fondo è chiaro: la guerra di propaganda non conosce confini e l’unica difesa è conoscere i meccanismi linguistici, psicologici e geopolitici che la rendono possibile.

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